Caratterizzazione e riconoscimento di alcuni marmi antichi piemontesi
Di seguito è possibile trovare, per ognuno dei marmi antichi piemontesi analizzati nella mia ricerca di Dottorato, un estratto delle schede elaborate per il riconoscimento e la caratterizzazione. Per le sezioni sottili, le immagini al microscopio e gli altri risultati analitici si rimanda all’articolo apparso su Arkos n. 5-6 (2014):
- marmo di Foresto
- marmo di Frabosa
- pietra di Gassino
- marmo di Paesana
- marmo di Pont
- marmo di San Martino
- marmo di Valdieri
Vale la pena sottolineare che la pietra di Gassino (un calcare fossilifero dalla tonalità grigio-nocciola) è stata analizzata con gli altri marmi esclusivamente perché nel periodo storico studiato essa era considerata da artisti e artigiani a tutti gli effetti un “marmo bianco”.
Questo definizione, apparentemente anomala, trova però una giustificazione nel fatto che il calcare, esposto agli agenti atmosferici, tende ad assumere tonalità biancastre molto chiare, rendendo a volte difficile distinguerlo, oltre una certa distanza, da un vero marmo bianco a grana grossa.
Grafici riassuntivi delle prove di laboratorio
Vengono inoltre presentati alcuni grafici riassuntivi delle prove di laboratorio condotte durante la stessa ricerca. Nelle legende dei diversi grafici vengono indicate le iniziali dei vari marmi piemontesi analizzati e quelle dello statuario di Carrara:
- assorbimento di acqua per capillarità (g/m2)
- assorbimento di acqua a pressione atmosferica (%)
- assorbimento di acqua a pressione atmosferica (g/m2)
- durezza Knoop
- resistenza a flessione (confronto tra due estremi: statuario di Carrara e marmo di Foresto)
Analisi dei risultati
Confrontando tra loro i grafici precedenti si può osservare come il marmo di Pont Canavese sia quello che, insieme allo statuario di Carrara, presenta la minore variabilità tra la dimensione cristallina minima e quella massima, oltre ai valori assoluti minimi delle dimensioni stesse, aspetto che sicuramente gioca a favore della buona lavorabilità, anche nei dettagli più minuti, del materiale, mentre il marmo di Frabosa Soprana è caratterizzato da un’elevata diffusione di cristalli con dimensioni medio-elevate, che non costituiscono quindi un’eccezione ma la tessitura stessa del marmo. I valori assoluti abbastanza bassi giustificano comunque, anche in questo caso, la buona lavorabilità del materiale.
Il marmo di San Martino presenta, insieme a quello di Paesana, le dimensioni più grandi dei cristalli, ma una tessitura caratterizzata da cristalli di piccole dimensioni, paragonabili a quelle del marmo di Pont Canavese e dello statuario di Carrara: i cristalli più grandi costituiscono quindi un’eccezione o, se si vuole, quasi una sorta di imperfezione puntuale del marmo; il marmo di Paesana, inoltre, è caratterizzato da numerose venature in cui è presente quarzo in quantità elevate, caratteristica che lo rende più difficilmente lavorabile degli altri marmi.
Dimensione dei cristalli versus lavorabilità
Va ricordato che, in ogni caso, la dimensione dei cristalli non può essere presa come unico parametro per la valutazione della più o meno buona lavorabilità dei diversi marmi, dal momento che, così facendo, si potrebbe ritenere il marmo di Foresto dotato di una buona lavorabilità, mentre invece è caratterizzato da un’elevata sfaldabilità che ne rende difficoltosa la lavorazione a fini decorativi.
Il marmo bianco di Pont Canavese è stato recentemente studiato dall’ing. Fabrice Dagrain (che ringrazio per la disponibilità) di Stone Assistance che lo ha caratterizzato con metodi non convenzionali da lui elaborati per l’analisi di campioni di piccole dimensioni.
Stupinigi, Palazzina di caccia, particolare di balaustra in marmo bianco di Foresto